‘Più elaborati sono i nostri mezzi di comunicazione, meno comunichiamo.’

 Joseph Priestley

 

 La comunicazione e i suoi processi, per essere funzionali, dovrebbero seguire la cosiddetta Regola delle Cinque C: Chiarezza, Completezza, Concisione, Concretezza, Correttezza.

 

Un assunto piuttosto semplice e che, se seguito, si traduce in una facilitazione delle dinamiche di comprensione affatto trascurabile. Molto spesso lamentiamo il fatto che ogni tipo di documento riguardante contenuti legali sia incomprensibile in assenza di un esperto che funga da vero traduttore e, altrettanto spesso, ci si sente come persi in un mare di complicate parole, sigle e costanti rimandi che inducono ad abbandonare la lettura e fanno apparire inaccessibili – o peggio, equivocabili – i dati comunicati, generando frustrazione e limitando persino i gradienti di fiducia tra le parti.

 

Se è vero che La Legge è uguale per tutti, dovrebbe essere nello stesso modo comprensibile per tutti. È d’altronde vero che il linguaggio giurisprudenziale ha radici classiche e, nel tempo, la complessità del suo vocabolario ha tenuto fede ad un concetto elitario, derivante da un certo tipo di sovrastruttura culturale, più che meramente linguistico.

Sempre più recentemente, tuttavia, si è sentita la necessità di abbattere alcuni intoccabili clichés al fine di rendere la comunicazione legale alla portata di tutti – non per questo defenestrando le figure degli esperti, è chiaro –.  Ed è per questo che è nato il Legal Design, una disciplina in grado di far interagire competenze legali, innovazione tecnologica e design con l’intento di rendere accessibili da subito i contenuti di materia legale – dunque divulgati da legislatori, avvocati, notai, magistrati – ai diretti destinatari – clienti, magistrati, consulenti, cittadini – . Attenzione, non è una semplificazione tout court e neppure una moda 4.0.

 

‘Il Legal Design è l’applicazione del design al mondo del diritto che pone l’uomo al centro;

nasce per creare sistemi e servizi legali più attenti all’utente, utilizzabili e appaganti.’

 

Margaret Hagan, Executive Director Legal Design Lab

 

Le parole di Margaret Hagan chiariscono in modo esemplare la funzione principe del Legal Design, che proprio lei ha ideato e lanciato da borsista all’Istituto di Design della Stanford University. Qui, tra il 2013 ed il 2014 il suo Program for Legal Tech & Design sperimentava la relazione interdisciplinare tra design e fruibilità di argomenti legali, al fine di renderli più utili e coinvolgenti. Una sfida che ha le proprie fondamenta nell’approccio tra comunicazione visiva, ludica e comprensione ipertestuale. Se inizialmente i suoi studi sono stati accolti in maniera entusiastica ma non praticati al di fuori della sperimentazione universitaria, negli ultimi anni anche la Giurisprudenza si è interessata al tema; se da un lato esso pare sovvertire alcune regole del gioco, dall’altro permette alla discussione legale di uscire dal suo perimetro per affrontare e dialogare agilmente con la realtà.

 

Come già affermava l’Avv. Cristina Bianchi, mediatrice e consulente Jaumann, in un focus esplicativo pubblicato alcuni mesi fa, il nodo della comprensione è sempre più stringente, in particolar modo in un tempo in cui le informazioni corrono sul web, senza filtro e senza una giusta coerenza, mettendo a rischio il valore intrinseco della conoscenza stessa.

 

‘Parlare: ecco la via più sicura per fraintendere,

 per rendere tutto piatto e insulso.’

Hermann Hesse

 

Per poter affrontare il tema del Legal Design è, pertanto, ovvio fare un piccolo passo indietro, spostandosi in una dimensione ideale, sia umana che funzionale, in cui poter incontrare gli elementi basilari che hanno definito il metodo della comunicazione di tali contenuti. La comunicazione classica dei temi della Giurisprudenza, molte volte, appare autoreferenziale e conchiusa in un universo che non ha che fare con il principio di chiarezza comunicativa e toglie dal centro del dialogo la persona, la quale, al contrario, è subissata di latinismi, codici, acronimi, sigle ed espressioni di profonda complessità che allontanano in maniera severa la possibilità di trovare un nesso con un dato problema.

 

Oggigiorno ad un avvocato, e a tutti i personaggi che ruotano attorno alla Giurisprudenza ed alle sue dinamiche, è richiesto qualcosa in più della conoscenza delle normative, dei codici, della loro applicazione ed anche della giusta maniera di far combaciare i fatti con la verità. È la stessa esperienza in ambito legale che ha abbracciato, giocoforza talvolta, altre forme, in taluni casi sotto la spinta del transnazionalismo giuridico e della realtà, sempre più tangibile, della globalizzazione normativa. In tale solco possono riconoscersi, in sintesi, quattro ambiti: il diritto espresso in linguaggi naturali; il diritto computabile; il fenomeno del multilinguismo e, appunto, il legal design. Ad una prima superficiale analisi il concetto di interdisciplinarietà sembrerebbe il filo conduttore di questa transizione.

Una trasformazione indubbia, di tipo radicale e non così semplice come potrebbe apparire, è in atto: non già e non solo per l’urgenza di nuova acquisizione di conoscenze e abilità da parte dei professionisti legali quanto per la possibile interrelazione con esperti di altri campi del sapere.

 

Il Legal Design induce alla riflessione e si muove attraverso tale percorso di cambiamento, principalmente mediante tre punti chiave individuati da Margaret Hagan: chiarezza del messaggio – clear message –  uso di immagini – simple visuals – coinvolgimento del destinatario del messaggio – ask or task to audience -.  Ai tre principi fondatori si affianca quella che la stessa docente di Stanford ha individuato come la “next generation” di tipologia di documenti legali, ossia un nuovo format che preveda contratti e documentazione con un numero minore di parole, contenuti ridotti all’essenziale e la semplificazione del concetti più complessi attraverso l’uso di schemi ed immagini – contract visualization e visual law -.

 

‘Le società sono sempre state modellate più dal tipo dei media con cui gli uomini comunicano

che dal contenuto della comunicazione.’

Marshall McLuhan

 

Esiste, però, una consapevolezza interna al linguaggio che è imprescindibile; tenendo fede all’assioma di Austin e Searle, secondo cui ‘si possono fare cose con le parole’ è altresì vero che si fanno cose anche con le immagini. E ciò è noto grazie alle dinamiche che afferiscono all’intelligenza emotiva. Tentiamo, invece, ora di indagare più da vicino quelle che sono le peculiarità che definiscono il Legal Design quale strumento riformista di una branca del sapere o del suo antico abbecedario come la Giurisprudenza. In verità non si può dare un’unica e granitica definizione dell’approccio messo in campo da Margaret Hagan poiché esso si costituisce di una commistione di elementi, ricercabili sia in un modo nuovo di concepire il Diritto, sia dell’acquisizione di un nuovo mindset nella redazione della documentazione legale, sia, infine, alla possibilità di considerarlo una vera disciplina giuridica.

 

Se ciò appare piuttosto sconcertante agli addetti ai lavori, sarà certo utile ragionare per qualche istante sul significato che ha il sintagma di ‘Legal Design’ che chiarisce alcuni fattori sistematici all’interno della dimensione concettuale della disciplina.

 

 Legal: irrinunciabile il legame e la relazione con il tema della Giurisprudenza e che, in un certo senso, è anche il punto nodale del crisi di comunicazione emersa con grande impulso. È al mondo ed al linguaggio legali che il nuovo approccio si rivolge e dal quale trae linfa di matrice risolutiva.

Design: in tale peculiare ambito si fa riferimento al design quale metodologia progettuale tesa alla semplificazione dei contenuti e la maggior fruibilità percettiva e di comprensione legate alle differenti necessità dei destinatari finali.

 

È, pertanto, l’equilibrio e la compenetrazione tra le due visioni a farsi quid del Legal Design. È, ovvero, il missaggio di un insieme di tecniche e saperi a permettere di progettare contenuti giuridici certamente precisi, pertinenti ed inequivocabili ma, al contempo – finalmente – comprensibili, immediatamente fruibili ed efficaci da un punto di vista comunicativo. Ciò non si traduce nel mero affiancamento di immagini ad un testo, bensì, fa affidamento ad un precipuo lavoro di progettazione che, nello specifico, guarda al Design Thinking. Ciò significa che il design applicabile alla comunicazione giuridica deve necessariamente rispondere a quelli che sono i bisogni – anche inconsci – dell’utente, in relazione al contesto di provenienza e di discussione, agli obiettivi che intende raggiungere e che permetterà, perciò, di riuscire a sviluppare delle soluzioni in grado di semplificare, in modo efficace, le complessità alla base delle esigenze e del problema principale. Il Design Thinking che ha originato il concetto stesso di estetica funzionale, consente di realizzare un percorso composto dalla complessità iniziale applicata alla fase di indagine e studio, dall’elaborazione di un processo in varie fasi sino al compimento di una soluzione, efficace, comprensibile, lineare. Esso si compone e sviluppa secondo alcuni step: enfatizzazione, definizione, ideazione, prototipazione, test. Ognuna di queste fasi analizza, identifica, studia e si confronta sulla natura del soggetto e sulle sue necessità, sul problema in atto e sulle possibili soluzioni. Elaborata la prima parte si approda alla seconda fase ove entra in scena la parte grafica e afferente al mondo delle immagini.

 

Applicando tali passaggi e la diarchia del processo – User Journey & User Experience – il fuoco dello sviluppo è da ricercare nel destinatario del prodotto finale. Traslando e applicando la stessa metodologia al Legal Design, al centro della sua dinamica ci sarà l’utente a cui il prodotto giuridico è destinato. Appare perciò chiaro che nell’ambito di tale nuovo approccio è il giurista il primo soggetto a dover necessariamente mutare il proprio orientamento, cedendo, in un certo qual modo, all’MVP –  minimun viable product –  criterio tipico dell’universo software, consistente nella semplificazione di un contenuto non a discapito del rigore e dell’esattezza dell’analisi relativa – legale e giuridica in tal caso – bensì tramite una ragionata scelta di concetti chiave volti a chiarire la comprensione del testo da parte del fruitore. Una scelta consapevole che trova un parallelo nel mondo dell’arte e, in particolare, impara dalle dinamiche della comunicazione ancestrale messe in atto dalla relazione tra immagini e realtà.

 

La necessità di semplificare il diritto affidandolo alla narrazione per immagine genera una nuova esplorazione della materia giuridica e, tuttavia, non è del tutto priva di radici ad oggi. Scopriamo infatti che già il Decreto 8 marzo 2018 n. 37, modificando il D.M. 55/2014 sulla determinazione dei parametri di liquidazione dei compensi per la professione forense, aveva introdotto, all’art.1, comma 1-bis, un aumento pari al 30% del compenso qualora “gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione, la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto”. Ed a ciò si aggiungono gli artt. 35, 48 e 51 del Codice del Consumo che richiedono una redazione comprensibile delle clausole contrattuali e delle informazioni destinate ai consumatori. Ed ancora gli artt. 3 e 13-ter del Codice del Processo Amministrativo che pone alle parti e al legislatore dovere di sintesi e chiarezza nella redazione degli atti e dei limiti dimensionali per ricorsi e atti difensivi.

 

Nel 2016, poi, con la sentenza n. 21297/2016 la Cassazione aveva espresso parere negativo circa la sovrabbondanza di atti processuali che, troppo spesso, grava sulle controparti e “avvolge gli stessi in una cortina che ne confonde i contorni e ne impedisce la chiara intelligenza” dimostrando grave incapacità esplicativa all’interno di un iter processuale.

 

Infine, il GDPR chiarisce, all’art. 12, comma 7 l’urgenza di fornire all’interessato del trattamento informazioni “in combinazione con icone standardizzate per dare, in modo facilmente visibile, intellegibile e chiaramente leggibile, un quadro d’insieme del trattamento previsto. Se presentate elettronicamente, le icone dovrebbero essere leggibili da dispositivo automatico”.

 

Dal 2014, poi, è la Corte Europea a stabilire che, per il regolamento interno, la documentazione depositata deve rispondere ad una redazione precisa ma semplice, priva di tecnicismi propri dell’ordinamento giuridico nazionale.

 

La volontà, dunque, di facilitare gli iter normativi e la loro quotidiana fruizione è già una realtà e l’avvento del Legal Design ha portato tale cambio di direzione verso l’acquisizione di una metodologia ottimale e funzionale a garantire i termini di una semplificazione tangibile. Seppur in parte ancora a fatica – si tratta, nonostante tutto, di una trasformazione notevole a livello concettuale, all’interno di un metodo antico e fortemente radicato – alcune applicazioni possiamo già trovarle nei testi che rimandano a condizioni generali di un contratto, le policy per la privacy e le policy interne in materia di sicurezza informatica e di prevenzione rischi sul lavoro. Applicazione che, come è ovvio, può ampliarsi fortemente in tema di redazione contrattuale, documentale e di redazione di atti legali, contenuti per  cui l’accurata scelta di un linguaggio chiaro, comprensibile ed inequivocabile, normativamente corretto e giuridicamente preciso, potrebbe accompagnarsi ad elementi grafici – timeline, diagrammi, tabelle, infografiche, immagini fotografiche – in grado di esprimere concetti in modo da ridurre il rischio di incomprensioni ed affidandosi ad una lettura tale da giungere ad una duplice comprensione, testuale e visiva.

 

Secondo Stefania Passera, esperta di Legal Design in Svezia, dove ha fondato la Legal Design Alliance, un documento giuridico, per essere attinente a tale nuovo approccio, deve attenersi a quattro fattori: Language, Design, Relationship, Content, ovvero scritto con un linguaggio chiaro, fruibile da un punto di vista percettivo, capace di stabilire una connessione lineare con il destinatario e in grado di veicolare in modo chiaro il messaggio contenuto.

 

La piena applicazione dei principi del Legal Design avrebbe come esito alcuni elementi affatto trascurabili e piuttosto decisivi da un punto di vista comunicativo. I contenuti normativi e prodotti, servizi e processi legali diverrebbero più etici, equi e comprensibili, coinvolgendo una parte importante anche della collettività, concepita pertanto quale elemento imprescindibile e centrale della produzione e della comunicazione di contenuti di norma, favorendo trasparenza e legalità nel rapporto tra le parti.  La semplificazione linguistica e dunque la comprensibilità profonda della materia di legge attraverso il metodo di Legal Design favorirebbe la nascita di un miglioramento logico e renderebbe inoltre possibile un accesso alla giustizia a quella parte di popolazione solitamente esclusa per gap culturali o linguistici, portando verso la costituzione di una società inclusiva e di modelli sostenibili.

 

Se è vero che la legge non ammette ignoranza, non sarà quest’ultima da imputare, in pare, alla sua incomprensibilità? 

 

È bello scrivere perché riunisce le due gioie: parlare da solo e parlare a una folla.’

 Cesare Pavese

 

Si fa però necessario comprendere che nell’avvicendamento tra autoreferenzialità di scrittura e condivisione collettiva esiste una fondamentale strada da intraprendere e che permette al testo, al contenuto, di non rimanere lettera morta. Il linguaggio muta, si trasforma e si modella in base alle condizioni della società cui fa riferimento e di cui fa parte, è questo un segnale di crescita e avanzamento. La pretesa che l’abbecedario legale, ovvero quello che condiziona lo svolgimento della vita all’interno di una comunità, possa rimanere immutato e rigido per secoli è davvero irragionevole.

 

Il Legal Design, naturalmente non risolve alcune delle problematiche che fuorviano la comprensione di contenuti normativi, poiché se è vero che esso si inserisce all’interno di una tipologia comunicativa che è già mutata in molti ambiti – grazie alla tecnologia – è pur vero che può esser inquinato dal rischio della presenza e dell’uso di immagini ingannevoli e al contempo equivocabili. Un rischio che rientra nella categoria della volontà o dell’accidentalità ma che, con il placet dell’universo giurisprudenziale, può essere risolto grazie all’intervento di esperti del settore extra legale.

 

È l’Arte ad insegnarci il valore di un linguaggio comprensibile a tutti, la valenza insostituibile di una immagine al fine di ‘parlare’ e relazionarsi con un pubblico vastissimo e persino afferente a tradizioni lontane ed opposte. Facendo un balzo all’indietro di millenni, prima della parola l’uomo ha comunicato attraverso l’uso delle immagini, del segno, dei simboli. E le prime forme di scrittura erano basate sulla strettissima relazione immagine|significato. Ad aver fatto di tale rapporto un metodo universalmente valido di comprensione, capace di radunare qualsiasi livello di lettura e gap culturale sono state la religione e l’arte sacra. Prima della veicolazione delle sacre scritture le narrazioni per immagini – si pensi ai grandi cicli di affreschi, pitture murali, o cicli scultorei – da Ovest a Est del mondo, hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi, il più grande dizionario del sapere dell’umanità – in termini tematici – e ogni Fede attraverso le immagini ha potuto raccogliere intorno a sé un numero sempre maggiore di fedeli, di qualsiasi appartenenza sociale. Stesso dicasi per il racconto della Storia – solitamente dei vinti in passato – : dalla celebrazione pittorica, scultorea e architettonica alla narrazione attraverso il fotoreportage. Ed ancora si pensi all’immagine di un bozzetto di moda – accompagnato da dettagli tecnici per la produzione – e al racconto del prodotto confezionato tramite una campagna foto o videografica.

 

L’Arte focalizza l’attenzione su un particolare non trascurabile: la mente umana e l’inconscio ragionano per immagini, come affermano le neuroscienze; il corpo si muove nello spazio in base alla percezione di ciò che vede e che immagina come riconoscibile. La conoscenza tattile, uditiva o gustativa rimandano sempre ad una immagine familiare, in grado di offrire senso totale al soggetto o all’oggetto ragionato. Le città d’arte, ideate da artisti e trasformate in opere funzionali, non sono altro che la traslazione tridimensionale di una immagine che risponde perfettamente alle esigenze di una collettività e, come tali, hanno affiancato i termini politici, normativi di talune società, dimostrando, ancora oggi sia la loro validità sia la loro rimembranza per iconiche simbologie. Ed infine, non sono le regole dello svolgimento delle discipline artistiche a di_mostrare per immagini la validità di taluni dettami?

 

‘La comunicazione non è quello che diciamo, bensì quello che arriva agli altri.’

Thorsten Havener

 

Il Legal Design potrebbe, in un futuro auspicabile, diventare traccia di un cambiamento ed un miglioramento sociale, distruggendo le invalicabili barriere tra legislatori e cittadini, così come il mondo delle scienze ha già fatto da moltissimo tempo, non per questo detronizzando il valore del sapere, ma ampliando le conoscenze anche grazie all’uso e alla relazione tra parole ed immagini, come suggerisce l’arte.

 

Azzurra Immediato