I cambiamenti della Moda come anticipazione di svolte generazionali

  

‘Il vero cambio di Moda deriva dai cambiamenti reali nella vita reale. Tutto il resto è solo decorazione.’

 Tom Ford

 

La Storia della Moda e del Costume ha origini pari a quelli della nascita dell’uomo e solo in parte può considerarsi la mera necessità di coprirsi per sopravvivere al clima con pelli, tessuti e materiali lavorati al fine di essere indossati. Gli abiti, o quanto necessario a coprire il proprio corpo, sin dal periodo immediatamente successivo alla Preistoria, assunsero una precisa funzione sociale, con il fine di distinguere ruoli nella comunità, classi sociali oltre che appartenenze alla sfera familiare, amministrativa, militare o sacerdotale di una collettività e relative modulazioni di mansioni, cariche ed importanza.

 

È insito, perciò, giungere subitamente ad una conclusione: la Moda è stata tra i primi elementi a definire i fattori di Passaggio Generazionale nell’ambito di una società. Vediamo, nel dettaglio, come.

 

Moda. Qual è il suo significato primario? Il termine, con etimologia latina, indicava un modus, ovvero una maniera, una norma, una regola ma anche un tempo, una melodia, un ritmo ed infine una modalità, una guisa, una discrezione. Ancora oggi, il significato intrinseco all’origine del termine è rimasto d’uso nella nostra lingua e definisce un’ampia serie di convenzioni che non riguardano più solo gli abiti. La Moda e il Costume, la loro storia, si sono rivelati, negli anni, strumenti di grande importanza per lo studio della società, dell’Economia, della Storia e dell’Arte, della Comunicazione. Per comprendere a fondo un’epoca – qualunque essa sia – a qualsiasi latitudine e longitudine, una delle principali bussole è soffermarsi sulle mode di quel peculiare periodo. Essi sono, da sempre, fattori in continua evoluzione: la loro trasformazione, anno dopo anno, stagione dopo stagione, segna il passare del tempo per ogni società, proponendosi come una sorta di linea cronologica illustrata, tangibile, reale.

 

Esiste, tuttavia, una costante nel flusso temporale della Moda: le epoche passate sono caratterizzate da mode più tradizionali e rigide, da tendenze contro cultura, mentre la moda del momento è quella che rompe gli schemi precedenti, è sua diretta evoluzione o sua controtendenza. Sussiste un fil rouge tra queste caratteristiche: la società è il termine alpha e omega per il percorso della Moda e, all’interno di tale alveo, si può riconoscere ciò che lega desideri e necessità di espressione soggettiva all’interno di un gruppo più vasto.

 

La Moda è riconoscibilità.

 

Moda è anche appartenenza ad un ambito della società cui si afferisce o dalla quale ci si vuole allontanare, o, ancora, della quale, strenuamente, si cerca di far parte. Ricordiamo che la Moda intesa come simbolo, in epoca antica, era appannaggio delle classi più abbienti, in particolare a causa dell’elevato costo dei tessuti e dei colori – derivati dall’estrazione minerale, animale e vegetale – e sino all’800 gli abiti erano preziosi beni, tanto da entrare di diritto nei lasciti testamentari.

 

Alla ricercatezza rintracciabile nelle classi più elevate faceva da contraltare un utilizzo di vesti più rozze, di colori neutri – poco costosi – o naturali, di materie non raffinate, in abbinamento con scarpe in legno o panno e, molto spesso, esisteva un sotto mercato di abiti usati che venivano riacquistati dalla medesima popolazione, priva di mezzi economici che andassero oltre il sostentamento.

 

Di generazione in generazione, dunque, la Moda ha generato una sorta di codice più o meno silente, eppure immediatamente chiaro, quasi, per paradosso, rumoroso.

 

‘La Moda sta vivendo una nuova era in cui non ci sono più regole.

Tutto ruota attorno allo stile personale di ciascuno.’

Alexander McQueen

 

L’affermazione dello stilista britannico Alexander McQueen è senza tempo, poiché la sovversione delle regole di un’epoca precedente – vicina o lontana – è una delle caratteristiche principali nella Storia della Moda. In tale prospettiva, dunque, la Moda è sintomo di una necessità di progressione – che non sempre coincide con il progresso – e che tenta da un lato di cambiare lo status quo, ossia le mode non più corrisposte dal sentimento hic et nunc collettivo, dall’altro di cercare nell’ignoto del ‘non ancora’ o nel giusto del ‘revival’, un nuovo pentagramma sul quale creare una armonia.

 

Non è forse ciò che accade nel Passaggio Generazionale di una azienda?

 

Il ‘prima’ si abbandona scivolando in un ‘dopo’ che può prendere in prestito dal passato elementi capitali, pur mutandone le caratteristiche per una attualizzazione o un traghettamento nel futuro.

 

‘Non seguire i trend. Non lasciare che la Modati possieda, sii tu a decidere chi sei,

ciò che vuoi esprimere nel modo in cui vesti e il modo in cui vivi.’

Gianni Versace

 

 

‘Sii tu a decidere chi sei’. Si può dire altrettanto nel caso di un Passaggio Generazionale di matrice imprenditoriale?

 

Quali sono i meccanismi che rientrano nel processo di transizione che esprimono e comprendono le necessità di una impresa, di un consiglio d’amministrazione e dei dipendenti o consulenti di un società?

 

Probabilmente, nel corso di questo nostro lungo approfondimento sulla metafora del Passaggio Generazionale al di fuori dell’impresa, intrapreso da Jaumann come studio di una conditio extra imprenditoriale, il ‘capitolo’ dedicato alla Moda è quanto di più calzante – ça va sans dire – nel solco di una allegoria binaria. Se, invero, altri focus, come quelli riguardanti l’Arte, il Design o il Cinema hanno delineato una mappa piuttosto ampia e di origine concettuale a largo spettro, ecco che l’universo legato alla Moda appare come soggetto e oggetto di questa ricerca.

 

Nell’epoca contemporanea, dalla fine dell’Ottocento ad oggi, il Passaggio Generazionale relativo alla Moda è stato sia di costume, come evoluzione e cambiamento della società, sia di azienda, ovvero come mutamento e sviluppo all’interno di una impresa, molto spesso familiare, in cui le generazioni e il loro avvicendamento hanno segnato la storia del brand in maniera tangibile.

 

Alla base dell’evoluzione nella Storia della Moda esiste, oltre a quanto già definito ‘necessità’, una vera ideologia dell’estetica, che ha carattere collettivo ed in cui emerge il valore dell’unicum, le cui fenomenologie definiscono a vario titolo, l’importanza di una trasformazione.

La Storia è figlia di bisogni, di esigenze, di desideri e sogni, come l’Arte e come ogni espressione generata dall’urgenza dell’uomo di portare ad emersione una testimonianza, sia del proprio sentire che della propria presenza, ma anche del proprio soggettivo apporto al bene della comunità. Se l’artista, il designer, il regista sono le figure di spicco di ciò che avviene nell’universo delle idee tradotte in realtà, allo stesso modo, un imprenditore illuminato saprà intercettare e soddisfare le aspirazioni personali, della propria identità aziendale, dei suoi collaboratori e dei suoi clienti.

 

Lo stilista, il couturier o il patron di una casa di Moda – nella medesima griglia di ruoli ricoperti dalle realtà citate nei precedenti capitoli – in egual misura ricoprono quell’attorialità necessaria a che qualcosa di ideale diventi reale, traducendo fantasie ma anche impellenze del pubblico e della popolazione.

 

Ovviamente, le esigenze dettano alcune regole, racchiuse in alcuni apparentemente semplici binomi. Caldo|Freddo, Occasione|Rappresentazione, Chic|Cheap, Cool|Vintage, e così via. Accanto a questi paradigmi, sempre flessibili e sinuosi come il corpo umano e come i tessuti atti ad avvolgerlo, il vestire si relaziona ad un simbolismo correlato le cui radici, talvolta misteriche ed ancestrali, hanno sia la capacità di rimanere fedeli a sé stesse e alle regole di cui sono emanazione, sia, però, di lasciarsi contaminare. Una delle peculiarità riconoscibili nella Storia della Moda è certamente l’influenza che un costume, una tradizione distintiva di un luogo o di un gruppo, subiscono grazie alla conoscenza di culture differenti dalla propria o dallo svolgersi di rinnovamento all’interno della sfera temporale.

 

Tale processo afferisce ai tempi antichi e moltissime sono state le modulazioni avvenute in termini di Moda grazie all’interrelazione tra popoli differenti ed anche opposti. Ragion per cui, se la Storia della Moda è un susseguirsi sempiterno di sperimentazioni, innovazioni, tendenze, melting pot culturali, è anche vero che raramente essa abbandona completamente le proprie radici, secondo una sorta di inconscia nostalgia per il proprio bagaglio recondito e primigenio.

 

La Moda, poi, è una sorta di puzzle composito, formato da decine, centinaia di tasselli che rimandano a desideri soggettivi e collettivi, comunione d’intenti o volontà di distinguersi; si tratta, anche, di un medium narrativo o simbolico di un messaggio precipuo, di una ideologia; inoltre, qualsiasi capo di abbigliamento reca con sé una storia: scegliere un abito è una dichiarazione, è espressione visibile di una cosmogonia interiore.

 

‘Quello che indossi è il tuo modo di presentarti al mondo, specialmente oggi che viviamo in un’era in cui il contatto umano è così rapido. La Moda è un linguaggio istantaneo.’

 Miuccia Prada

 

Facendo un balzo nel passato, un primo Passaggio Generazionale nella Moda, o meglio nella sua Storia, si può riconoscere già nel Paleolitico, ossia quando al semplice uso di pelli animali utilizzate a mo’ di copertura, i preistorici iniziarono a drappeggiare le pelli in foggia di indumenti con cui avvolgersi, ottenendo dei ‘modelli’ replicabili grazie all’uso di ‘aghi’ ottenuti con frammenti ossei: grazie a tali intuizioni, si assisté ad un notevole cambiamento e le pellicce, da informi coperture adatte a riparare dal freddo, divennero elementi scelti, trattati, ‘cuciti’ in maniera tale da adattarle alle strutture fisiche dei diversi corpi. Il salto generazionale appare più netto in epoca neolitica: in tale periodo il progresso che vede la prima costruzione di telai permise la creazione di vestiti in tessuto, principalmente di lino e lana, grazie alla trama e all’ordito.

 

A partire dagli usi delle popolazioni del Medioriente, in particolare presso i Fenici I millennio a.C. – l’introduzione di canapa, cotone, seta e bisso, oltre che della tintura porpora dei tessuti, pigmento ottenuto dall’essicazione del murice, comportò un graduale abbandono delle pelli animali per lasciar spazio ad una maggiore cura dell’abbigliamento; l’innovazione tecnica aveva determinato un fondamentale sviluppo e reso una necessità di miglioramento anche l’esibire abiti in segno di appartenenza ad un gruppo: le condizioni climatiche e ambientali, da questo momento, iniziarono ad essere affiancate dalle caratteristiche delle diverse condizioni sociali.

 

‘I vestiti non significano nulla,

finché qualcuno non inizia a viverci dentro.’

Marc Jacobs

 

 

Con il trascorrere del tempo – e naturalmente, negli esempi citati si tratta di intervalli temporali molto ampi rispetto a ciò cui siamo abituati oggi – emergeva sempre più la volontà di migliorare ed innovare il proprio ‘guardaroba’; ciò spinse le antiche popolazioni a far nascere un commercio che non fosse più solo alimentare, bensì legato anche allo scambio di prodotti legati alla moda: tessuti, pelli, pigmenti di varia natura, minerali e pietre preziose.

 

Il 476 d.C. segna la Caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio del Medioevo che, nonostante sia noto come epoca buia e di chiusura, non smise di destinare alle mode una certa rilevanza, appannaggio, però, delle sole classi nobiliari, alto ecclesiastiche e militari, con una forte differenza tra Occidente e Oriente: se in Europa, in particolare, si assisté ad una significativa riduzione dell’interesse per la Moda, in Asia e Nord Africa si sviluppò, al contrario, una enorme attenzione per questo carattere dell’invenzione umana e della rappresentazione estetica e non solo.

 

In ogni caso, ancora una volta, la tecnica e la sua evoluzione, permisero di compiere miglioramenti e diedero origine ad un imponente sviluppo della lavorazione tessile: l’invenzione, l’uso e la diffusione di strumenti atti alla sartoria, come forbici e aghi metallici, consentirono a tutte le fasce della popolazione di poter avere a disposizione indumenti, seppur non sempre pregiati, generando, in tal maniera, anche una sorta di riconoscibilità di stampo comune.

 

‘I costumi e le mode degli uomini cambiano come le foglie sul ramo,

alcune delle quali vanno ed altre vengono.’

Dante Alighieri

 

I secoli successivi determinarono importanti trasformazioni. Nel Trecento, ad esempio, furono introdotti bottoni e lacci, si diffuse l’uso della biancheria e la sartoria crebbe in maniera essenziale, riuscì a dare origine a fatture più complesse, come abiti drappeggiati, modelli sagomati e cuciture lineari.

 

Il Quattrocento è senza dubbio il secolo dell’affermazione sociale dei tessitori, dei sarti, dei mercanti di tessuti e pigmenti, dei commercianti di panni – detti strazzaroli in talune città italiane – che acquisirono rilevanza sociale, economica ed anche politica. Nella Moda apparvero velluti, broccati, merletti, calze e berretti, elementi di ottima e pregiata fattura, la cui produzione aumentò in concomitanza con la crescita economica e delle tecniche di realizzazione artigianale.

 

Secolo dopo secolo, il Passaggio Generazionale nell’universo della Moda ha acquisito valore considerevole, diventando prassi e momento di traduzione sociale.

 

L’excursus avanza e giunge al Cinquecento, secolo in cui il fasto esibito attraverso il vestiario era rappresentazione ideale ed estetica di ricchezza e potere, nobiliare, economico, militare e politico. Nei ceti medioalti accadeva persino che agli abiti si destinasse una funzione di mero ornamento più che di utilità pratica, mentre nei ceti più bassi gli indumenti si arricchirono di elementi funzionali ad arti e mestieri.

 

Il Seicento segna una nuova evoluzione: nel corti oltre ai nobili, anche dame, ciambellani, guardie e artisti furono dotati di pregiate uniformi, spesso variopinte e ricercate, prodotte con tessuti molto costosi e rari, esaltazione raggiunta certamente alla corte francese di Luigi XIV, Re Sole, il quale, in epoca barocca, ‘costrinse’ i suoi cortigiani e chi si recava presso di lui ad indossare fastose e ricamate vesti.

 

In questo lasso di tempo, negli anni cavalieri tra Seicento e Settecento, si osserva un particolare Passaggio Generazionale in Europa: la morte di Luigi XIV e l’inizio dell’epoca rococò coincisero con una nuova tendenza, caratterizzata dall’esasperazione del lusso in ogni sua forma, tale da definire l’intera fenomenologia estetica legata alla società del tempo, pur sempre contraddistinta dalle divisioni dei ceti. Le donne furono protagoniste di tale trasformazione.

 

I loro corpi erano esaltati da corpetti strettissimi, gonne amplissime sostenute da panier, scarpine pregiate in tessuti preziosi e ornate da gioielli, tacchi altissimi, cappelli ampi e decorati in abbondanza, le braccia e le mani ricoperte da guanti pronti a sventolare ventagli maliziosi, mentre le acconciature divennero complesse e voluminose, grazie all’uso di parrucche, mentre il trucco assunse nuovamente ruolo importante – come non accadeva da secoli, in Europa –  .

All’età di Luigi XIV si sostituì lo sfarzo legato al costume della regina Maria Antonietta, vero Passaggio Generazionale nell’ambito reale di Francia.

 

Il Settecento, secolo di grandi cambiamenti, secolo dei lumi e del concetto di società composita e attiva, trovò nella nascita della borghesia un nuovo interlocutore per la Storia della Moda. I borghesi, infatti, raggiunsero piena libertà di abbigliamento e gli indumenti tornarono ad essere simbolo non già e non solo di indipendenza raggiunta e sua esaltazione, ma anche di rigore funzionale: la borghesia era, infatti, composta da lavoratori di alto livello che necessitavano sia di abiti consoni e comodi sia, però, di uno stile che li distinguesse chiaramente dalle classi di servitù, operai e meno abbienti. Nel Settecento, pertanto, la Moda tornava ad essere un elemento sia di rappresentanza e distinzione – anche se con un certo abbandono del grande sfarzo – sia di esigenza quotidiana.

 

Tali necessità trovarono nella classe borghese una dimensione adatta per uno sviluppo che, di lì a venire, avrebbe dettato regola per i secoli futuri.

 

Osservando un simile cambiamento, che trova radice nell’antropologia e nelle dinamiche politiche, economiche e sociali del tempo, ecco che la transizione tra Sei e Settecento ed i mutamenti intrinseci alla società, denotano ed evidenziano un notevole ‘cambio della guardia’: la tradizione più antica, chiusa ed elitaria che faceva della Moda una forma di espressione legata solo alle classi del potere – civile, militare, religioso – giunge a sovvertire le regole, proponendo, con l’avvento di una nuova e dinamica classe sociale, un ‘giovane’ ceto, un cambiamento epocale.

 

La Moda diventa nel ‘700 uno status symbol di ‘nuova generazione’, ispirato a desideri, capacità e velleità di una collettività in espansione. Si assiste, pertanto, ad un Passaggio Generazionale che trovava nelle radici del passato i cardini filosofici di una volontà di affermazione egotica e collettiva ma che, al tempo stesso, seppe originare nuovi elementi per affermare la propria neonata identità, in grado di apportare notevoli migliorie ad un intero sistema in piedi da millenni.

 

Tuttavia, se indaghiamo taluni aspetti, ci renderemo conto di quanto, anche nei meccanismi del Passaggio Generazionale, esistano dei ricorsi dettati da una inconscia matrice. Proprio nel Settecento, invero, la cura dell’aspetto esteriore, una selezione molto accurata di materie di alta qualità con cui far imbastire abiti e accessori, diede nascita ad una ‘moda’, quella dandy, che stava ad indicare un uomo elegante, raffinato, narciso, ironico, colto e sprezzante della mediocrità della giovane borghesia, nostalgico verso la decadenza di un passato di fasti, tanto da essere un simbolo talmente trasversale da afferire sia alla Moda quanto da influire persino sui movimenti culturali del secolo successivo, in particolare sul Decandentismo. Alla figura del dandy, faceva da eco quella delle donne che, al contrario, attraverso abiti, accessori e ostentazioni estetiche dichiaravano apertamente lo statusricco – di appartenenza familiare, elitario e snob.

 

Mentre il tempo scorre e, apparentemente – nonché ingannevolmente – sempre più veloce, l’evoluzione della società europea segna sempre nuove tappe.

 

‘La Moda è ciò che compri, lo stile è ciò che possiedi. La chiave dello stile è nell’imparare chi sei,

e per farlo ci vogliono anni. Non esiste una mappa della strada per ricercare il proprio stile.

È un’espressione di sé stessi e, più di ogni altra cosa, è un atteggiamento.’

 Iris Apfel

 

Ancora una volta, in Europa, attorno alla metà dell’Ottocento, sorse un tumulto all’interno di quelli che possiamo definire e considerare i dettami della Moda dell’epoca: nel 1851, infatti, in un momento nel quale il parere femminile aveva rilevanza pressoché nulla e non poteva contrastare le azioni tese a mantenere alti taluni canoni di bellezza –spesso dannosi e malsani – vi furono le prime proteste verso le rigidità delle norme legate dalla Moda.

 

Le generazioni di juniores hanno la capacità e la volontà di opporsi a secoli di rigide ingabbiature o che, ormai, seppur utili alla causa dei secoli e delle convenzioni precedenti, nella metà del XIX secolo non avevano più concreta adesione al reale e, inoltre, erano lesive per alcune categorie di persone. In tal maniera, attraverso la moda, i suoi processi ed i suoi meccanismi, il Passaggio Generazionale si mostrava con la sua prima forza dirompente, quella capace di osservare i fenomeni e le loro conseguenze. Effetti che, tuttavia, si mostrarono paradossali.

 

Nel 1857 Charles Frederick Worth fondò un laboratorio sartoriale a Parigi ed è Egli considerato, nella Storia della Moda, il primo stilista. Nel suo laboratorio e attraverso la sua visione, nacquero l’haute couture e le ragazze mannequins. Nuovamente, perciò, nell’arco di poco più che un lustro, il corpo delle donne tornò ad essere strumentalizzato dalla Moda e dalle sue regole.

 

In Europa e in America, la seconda metà dell’Ottocento può dirsi contraddistinta da una volontà, anche nella sartoria femminile, di rendere l’abbigliamento progressivamente più funzionale, in un sempre più evidente abbandono degli eccessi del lusso di epoche precedenti. Ciò, oltre ad essere un cambiamento figlio dei suoi tempi, fu spinto anche dalla diffusione dello sport e da nuove esigenze di viaggio ed occasioni di presenze pubbliche – alla fine del secolo, ad esempio, comparvero i primi ‘tailleur’ femminili e le calze nere –.

 

I principi propri del Passaggio Generazionale seguono dei processi che, seppur non lineari, sono sempre riconoscibili.

 

Se è altrettanto vero che ogni passaggio inerente ad una impresa, ad una azienda è unico e legato alla storia di un brand e di una famiglia, è altrettanto vero che esistono alcuni sviluppi che si ripetono all’interno delle dinamiche generazionali. Quale che sia il punto nodale della transizione, ciò è evidente in ogni ambito ed è specchio di un avanzamento continuo ex ante ed ex post.

 

‘Essere moderni è estrapolare l’anima da ogni cosa.’

Yohji Yamamoto

 

L’arrivo del Novecento fa compiere alla Storia della Moda un salto rapido. Il secolo breve per definizione segnò da subito una profonda necessità di distacco dalla tradizione e dalle identità dei passato, in ogni ambito. La cultura, la tecnica, la politica, l’economia ed ogni ambito della vita si muoveva in maniera differente rispetto al tempo precedente. L’Occidente si trovò, così, investito da un turbinio di cambiamenti e, naturalmente, la Moda ed il Costume, ne furono eccellenti testimoni.

 

La ricerca spasmodica di novità si rifletté nel look e i couturier assunsero un ruolo sempre più rilevante, iconico ed elitario – ancora una volta – e ciò spinse la nascita e la diffusione delle prime riviste di Moda che, giungendo anche nelle periferie dei principali poli del costume, permisero anche alle piccole sarte di confezionare abiti di tendenza per le donne meno abbienti. Da lusso per élite, la Moda considerata trendy, arrivò a conquistare tutte le classi della collettività, grazie al prêt-à-porter, cioè dei capi prodotti in grosse quantità da famosi stilisti.

 

Tale diffusione, visto attraverso l’ottica del Passaggio Generazionale, porta ad emersione un elemento che si staglia con ancora più forza nella società: la Moda come vessillo di libertà.

 

 

Una libertà che, però, mostra diverse sfaccettature; alla libertà intesa come desiderio di distaccarsi dalla rigidità delle stereotipi del passato si affiancò una ulteriore libertà, ossia quella di allontanarsi persino dalle nuove norme imposte dalle stesse tendenze della nuova moda. Ecco che, come nel Passaggio Generazionale d’impresa, la figura di un mediatore sarebbe stata gradita – figura che, a vario titolo, è esistita, in un certo qual modo, nell’universo del costume, così come avvenuto nell’arte, nella musica e nel cinema –.

 

Il ‘900, secolo delle Due Guerre, ha cambiato modus vivendi della società e un cambio dei ruoli di genere: ciò che era vero sino ad un certo momento non poteva più essere valido e, ad esempio, le donne, non erano più disposte ad ‘indossare’ gli abiti di prima.

 

 

‘La Moda non è un qualcosa che esiste solo sotto forma di abiti. La Moda è nel cielo, nelle strade,

la Moda ha a che fare con le idee, il modo in cui viviamo, ciò che accade.’

Coco Chanel

 

 

Proprio Coco Chanel può essere riconosciuta come una delle grandi icone del Passaggio Generazionale nella Moda del Novecento, poiché la sua creatività ha rimodulato il senso stesso della fenomenologia estetica che diede il via allo sviluppo del ruolo femminile; le donne, rispetto alle proprie progenitrici, attuarono una vera e propria rivoluzione, a partire dalla Moda e dal suo perimetro precostituito.

 

Negli anni Venti è nato il tubino nero, ‘le petite robe noire’, simbolo entrato nel mito dell’immaginario universale. Negli anni Trenta furono lanciati sul mercato i blue jeans da donna e negli anni Quaranta il sarto Louis Réard inventò il bikini.

 

Questi elementi di trasformazione, avvenuti in un lasso di tempo brevissimo, lasciavano emergere, in maniera chiara ed inequivocabile che qualcosa nella società, magmaticamente, si muoveva.

 

Il secondo dopoguerra, in una Europa devastata nel profondo delle sue radici, fu caratterizzato, a partire dagli anni Cinquanta, da una grande rinascita economica, sociale e culturale; un’epoca in cui nuova voce fu data alle giovani generazioni. Esse sentirono, sempre più forte, l’urgenza di distaccarsi dalle regole dettate dalle tendenze di Moda per dare origine anche a stili diversi, che coincidessero, spesso, con il gruppo di appartenenza, sino alla nascita di sottoculture, molteplici e rappresentate dalla specificità di alcuni indumenti, la cui peculiarità e la cui riconoscibilità erano elementi imprescindibili.

 

‘La Moda ha il fascino dell’inizio e della fine insieme,

il fascino della novità e nello stesso tempo della caducità.’

George Simmel

 

Negli anni Settanta e Ottanta la Moda, il cui modello occidentale rapidamente conquistava gli altri continenti, tornò a rivestire il ruolo politico e di distinzione sociale che aveva avuto nei secoli precedenti ma, questa volta, era accompagnato da una duplice volontà, tipica del Passaggio Generazionale: al desiderio di trasformazione si affiancava la confortevole sensazione del già noto. Questi anni sono stati il regno del successo, della Moda come metafora della vita e gli anni in cui i protagonisti della Moda – stilisti, brand, modelle e modelli – diventarono icone di stile da imitare mentre la Moda entrava in relazione con gli altri ambiti della pop culture: musica, arte, cinema. Questi si contaminavano sempre più, diventando introiezioni e palcoscenici interscambiabili, con i loro protagonisti assurti a icone laiche da imitare.

 

 

‘Il bello degli standard è che ce ne sono così tanti tra cui scegliere. E se davvero non ti piace nessuno standard devi solo aspettare un altro anno fino a quando nascerà quello che stai cercando.’

 

Andrew Stuart Tanenbaum

 

 

La Moda, i cui prodromi filosofici sono da ricercare nell’Arte e nelle sue dinamiche collettive ed immaginifiche, dall’Ottocento e nel Novecento – e appare ovvio per gli anni Dieci e Venti del Duemila – ha rotto argini e spazzato via confini, divenendo linguaggio fluido tra culture, unendo, o sottolineando, cultura alta e bassa – pardon per questa banale semplificazione – e dimezzando, o annullando, le distanze fisiche, geografiche. Non del tutto, chiaramente; talvolta, purtroppo, la Moda e le sue tendenze in maniera generica e superficiale chiariscono solo il potere economico – e d’acquisto – di tutti quegli attori che partecipano con differenti ruoli alle dinamiche scatenate dall’universo Moda e Costume – di cui la contemporaneità della cultura pop e mediatica è colma – .

 

 

‘La Moda è management, è strategia.

Tutte cose che ho imparato di recente. Prima mi dedicavo di più alla creatività.’

Donatella Versace

 

 

Nella ‘strategia’ citata da Donatella Versace, allegoria di uno dei brand della Moda più importanti nel mondo e azienda familiare che ha dovuto, giocoforza, ripensarsi attraverso repentine dinamiche di Passaggio Generazionale, sino alla cessione nel 2019 alla Capri Holdings Limited multinazionale che opera nel settore della moda, con sede legale nelle Isole Vergini britanniche e uffici a Londra e New York,  fondata nel 1981 dallo stilista statunitense Michael Kors – ma con la sorella del compianto Gianni Versace a capo della direzione creativa del marchio omonimo, ecco che la Moda quale fattore di una scacchiera imprenditoriale che muove ogni anno fatturati stratosferici, si propone come parallelo aziendale in cui il Passaggio Generazionale avviene in duplice chiave: sia nelle sale dei CDA, che sulle passerelle, negli show room e in strada.

 

 

‘Niente passa tanto di moda
come la moda.’

Bruno Munari

 

 

Leggendo le parole di Bruno Munari torna alla mente un accadimento avvenuto negli anni Novanta e che, da allora, ha continuato il suo percorso a ritroso, qualcosa che, in verità ha molto a che fare con il Passaggio Generazionale ed alcune sue dinamiche.

 

L’ultimo decennio del Novecento, infatti, nella sua corsa contro il progresso – sviluppo costante della ricerca sui nuovi tessuti, su linee e modelli che esaltino la figura maschile e femminile; accessori come elementi imprescindibili del look e affermazione dei brand grazie anche al potere della pubblicità, sempre più raffinata narrazione – si è biforcato e nel proprio desiderio di cambiamento ha incominciato a dirigere il proprio interesse verso dettagli precipui dei decenni precedenti, in fatto di moda.

 

Nasce, così, il vintage.

 

Un fenomeno, quello del vintage, del tutto trasversale: dall’haute couture ad etichette mainstream, da magazzino o second hand, gli abiti vintage diventano il feticcio di uno stile che attraversa il gusto collettivo, segnando un percorso fondato su uno scambio estetico e concettuale duale. La novità, di fatto, dimostrava di saper trarre spunto dalle basi pregresse, ponendo l’incontro tra tempi e modi – e mode – il quid di un pressoché perfetto avanzamento. Non la trasformazione a tutti i costi, in cui sarebbero state valide le sole regole del contrario, bensì una transizione i cui semi del cambiamento erano ben consci di un passato in grado di sopravvivere per offrire nuove opportunità – e già assistiamo, alle soglie del 2022, ad un revival delle tendenze dei primi anni Duemila, oramai venti anni fa, che sulle passerelle hanno anticipato lo stile della prossima stagione primavera estate –

 

‘La Moda non riguarda solo gli abiti,

ma ogni genere di cambiamento.’

 Karl Lagerfeld

 

 

Passato, presente e futuro sono i termini entro cui e verso i quali il Passaggio Generazionale si muove, in qualsiasi ambito.

 

La Moda, universo in continua espansione, con le sue stelle fisse, le sue meteore, i suoi pianeti lontani anni luce dalle lune e dai soli che tutto attraggono ed illuminano, è certamente figlia del concetto di Passaggio Generazionale, sin dalla sua origine. Eppure, se indaghiamo strettamente ciò che inerisce il Passaggio Generazionale d’impresa nel mondo della Moda, scopriremo quanto la transizioni resti, in larga misura, un vero tabù.

 

Il tabù nasce da una questione storica ma anche numerica: il settore delle imprese familiari, infatti, rappresenta tra il 70 ed il 90% del Pil mondiale e molte di queste ‘family companies’ rappresentano i grandi brand della moda, soprattutto in Italia. Ciò significa che le aziende sono spesso passate di padre in figlio, con soluzione di continuità. Anche dopo le grandi crisi economiche, se all’estero le imprese hanno cercato all’esterno un valido e concreto aiuto professionale e manageriale, nel nostro Paese, il rilancio di un brand è stato spesso assegnato ai membri delle famiglie stesse, con qualche difetto: talvolta, i giovani rampolli, posizionati ai vertici dell’azienda di famiglia, erano privi di idonea preparazione e, perciò, di giuste soluzioni imprenditoriali anche per sedare conflitti interni.

 

Diverse sono state le risposte di matrice imprenditoriale: il nodo tra consegne generazionali tra imprenditori-stilisti, fondatori del brand e nuove leve ha visto sia la strada della quotazione in Borsa – con AD manager esterni alla famiglia, capaci perciò di trovare armonia tra logiche di mercato e dinamiche familiari – oppure quella di ampliare l’azienda, generando holding con azionisti di maggioranza i membri della famiglia, anche i più giovani.

 

Esiste una strada vincente? No.

Esiste una direzione unica per dipanare i processi intrinseci del Passaggio Generazionale in una impresa – di famiglia e non solo – ?

 

Non esiste, certamente, un percorso assodato ed infallibile, come non esiste una Moda adatta a tutti. Talvolta, a monte di grandi difficoltà, esistono problemi di natura culturale oppure conflitti generazionali spesso latenti e pronti ad emergere con tutta la loro forza nell’ambito della governance: i padri fondatori desiderano ricoprire tale ruolo in maniera incontrastata, al di là delle scelte amministrative, condizione che può generare sia l’intuizione strategica, sia una visione antiquata e non al passo con i tempi. Resta il fatto che, in special modo, in Italia, un brand di Moda, spesso reca con sé il dna di una famiglia, inteso come valore intangibile. Una delle convinzioni – e dei timori – che il Passaggio Generazionale apporta nei meccanismi aziendali, strategici e di mercato è che il marchio non deve mai tradire sé stesso e la sua storia. Concetto non del tutto errato, tutt’altro, suscettibile, però, di un protezionismo talmente forte da risultare una gabbia.

 

E se rivolgessimo lo sguardo oltre i confini dell’Italia?

 

In primis, quando si ragiona in termini di Moda ed haute couture, il parallelo principe avviene con la Francia che, nonostante la vicinanza, apre scenari differenti. Il Passaggio Generazionale, invero, è avvenuto, oltralpe, in maniera molto più imprenditoriale e, soprattutto è avvenuto già qualche decennio fa, nonostante il sistema nazionale stia affrontando con alterne prospettive e qualche difficoltà tale transizione.

 

Osservando da vicino quanto accaduto a Parigi e dintorni è facile comprendere come le trasformazioni all’interno di gruppi imprenditoriali familiari e afferenti alla Moda abbia intrapreso strade peculiari. La principale holding legata alla Moda, al Costume e al Lusso è francese, LVHM, proprietaria di oltre settanta marchi divisi in aziende di alta moda, frutto della fusione tra Louis Vuitton e Moët Hennessy; a causa di profondi dissidi tra le due parti, intervenne una terza parte negoziatrice: il già presidente e proprietario del gruppo, Bernard Arnault. Oggi LVHM possiede molti brand italiani, la cui storia è legata principalmente a grandi famiglie della Moda: Fendi, Bulgari, Loro Piana.

 

 

‘Non basta avere un designer di talento; anche la direzione deve essere ispirata. Il processo creativo è molto disorganizzato; il processo di produzione deve essere molto razionale.

[…]

Incontro molto spesso i designer, discutiamo dei prodotti, mi mostrano le loro idee, discutiamo delle campagne pubblicitarie e di ogni nuova invenzione che possiamo trovare per il futuro.’

Bernard Arnault

 

 

Senza citare molti altri famosi brand del grande lusso francese ed anche internazionale, si pensi anche che l’altro grande gruppo rivale, Kering – PPR (Pinault-Printemps-Redoute) fondato da François Pinault e oggi diretto da suo figlio, oggi possiede buona parte degli altri grandi marchi, tra cui Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, oltre a Yves Saint Laurent e altri marchi internazionali.

 

 

‘Gli italiani vivono bene. Hanno problemi, come tutti i Paesi, ma sono ben vestiti…’

François Pinault

 

 

Sia LVHM che KERING sono ovviamente società quotate in borsa e che hanno spesso ‘approfittato’ delle difficoltà interne alle aziende di famiglia al tempo del Passaggio Generazionale: le successioni ‘naturali’, sventrate da dissidi o differenti vedute hanno costretto le imprese a cedere a terzi in momenti critici di mancata successione, se non quando in assenza di eredi diretti. Se è necessario, nel processo di successione transitiva, non perdere mai di vista le proprie radici, è pur vero che l’ingresso di amministratori stranieri non è sempre un fattore svantaggioso, tutt’altro: spesso, i marchi che hanno saputo aprirsi a capitali o manager esterni hanno avuto, in percentuale, maggior successo.

 

A quello che appare, però, un susseguirsi di esempi negativi fa da eco quanto avvenuto in Salvatore Ferragamo: alla morte del fondatore, sua moglie ed i suoi figli hanno saputo vedere al di là del proprio perimetro aziendale, riuscendo a trasformare la casa di Moda in brand di rilevanza internazionale, senza mai tradirne lo spirito più profondo.

 

Stesso si dica per Prada, Natuzzi e Tod’s, aziende familiari in cui il Passaggio Generazionale è avvenuto per naturale eredità tra seniores e juniores, ha portato nuova linfa, ottimo piazzamento di mercato e ampia crescita di fatturato, grazie ad un processo generazionale di grande naturalezza.

 

Il Passaggio Generazionale, dunque, come processo interno al mondo dell’imprenditoria della Moda passa attraverso le dinamiche della managerializzazione e del ricambio senior – junior. L’Italia, storicamente poco avvezza all’idea di un Passaggio Generazionale fluido, mette continuamente a rischio piccole e medie imprese a conduzione familiare, vera grande trama produttiva dell’industria nazionale. Se i brand francesi, anche quando più antichi, hanno saputo cogliere le opportunità offerte da tale trasformazione, nel nostro Paese si fatica molto a lasciar traghettare nel futuro – quando non già nel presente – le aziende da parte dei membri più giovani della famiglia.

‘L’azienda perde parte del suo DNA, della sua anima, e viene proiettata in una stringente logica finanziaria,

he può portarla a tralasciare importanti aspetti legati per esempio a valore e qualità.’

Bertrand Thiry

 

 

Il binomio Moda|Passaggio Generazionale assume contorni da un lato sempre più netti, dall’altro abbastanza ondivaghi, poiché legato sia alla questione imprenditoriale pura sia a questioni di carattere ontologico. La Moda, invece, intesa come metafora della rappresentazione del sé, del bisogno soggettivo o della riconoscibilità di individui all’interno di un gruppo – o fuori dallo stesso – è in grado di delineare il percorso che è, di fatto, espressione antropologica, estetica e sociologica del senso più profondo della transizione intergenerazionale. La commistione tra passato e futuro, all’interno di un presente rivolto a desideri e fantasie attraverso cui esternare una scelta identitaria è il nodo cruciale che riguarda la Moda e le mode. La successione imprenditoriale ma anche di gusti, necessità, sperimentazioni e rischi, accompagna la Moda da sempre e, come tale, le spetta un ruolo principe all’interno del grande linguaggio delle civiltà umana.

 

La Moda indaga il suo tempo, ne anticipa le istanze, ne detta le regole – si pensi ai calendari fashion che anticipano le stagioni calendari ali, mostrando, quasi magicamente, il futuro –.

 

La Moda è essa stessa un Passaggio Generazionale, è fuori e dentro al tempo, è al di là e oltre l’hic et nunc, è alchemica e misterica predizione di ciò che sarà seppur, talvolta, affida a scelte e simbologie del passato il proprio revival.

 

‘Essere alla moda’ significa, più che seguire il trend del momento, saper cogliere, qui ed ora, la scintilla del furor che avverrà, proprio come accade agli imprenditori illuminati. Senza mai abbandonare le conquiste e i successi del passato, vero apporto identitario, è altrettanto saggio lasciare le redini di un tempo trascorso e far sì che la crescita continui.

 

La Moda è capace di stravolgere, rivoluzionare ciò che è stato per tornare sui suoi passi con nuova ninfa vitale. Crea nuova eredità non sulle ceneri di un estinto patrimonio, bensì tra le pieghe delle sue evoluzioni, sapendo cogliere nuova luce, nuove spinte e avendo la capacità di predire ciò di cui non sapevamo ancora di aver bisogno.

 

Si potrà dire che la Moda è superflua, accessoria; la sua storia ci insegna esattamente il contrario. Seppur qui non siamo stati esaustivi, è importante sottolineare quanto la Moda porti con essa una volontà precipua: avanzare, mai sostare. Come tale, il parallelismo con il Passaggio Generazionale è insito e strettissimo. Cambiare è crescere, qualunque sia la strada che è necessario percorrere, anche su tacco 12.

 

 

‘I vestiti che preferisco sono quelli che io invento per una vita che non esiste ancora, il mondo di domani.’

 

 Pierre Cardin

 

 

 

Azzurra Immediato